Violenza di Stato e ancelle del biopotere

 

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Londra, 25-08-16 #WearWhatYouWant. Manifestazione davanti all’ambasciata francese a Knightsbridge per protestare contro il divieto di indossare il burkini, diventato legge in molte città costiere della Francia

In Francia vietare alcuni tipi di abbigliamento, interdire precisi comportamenti nei luoghi pubblici, sanzionare usi e costumi di una parte della popolazione è prassi politica consolidata e radicata storicamente tra il XVIII e il XIX sec. Michel Foucault, in particolare ne La società punitiva ed in Bisogna difendere la società ci fornisce delle coordinate ancora valide per leggere il presente.  Sono i seminari al College de France in cui Foucault traccia la genealogia del biopotere, in cui ci parla dell’articolazione del potere disciplinare in Francia e in Inghilterra. Anche gli apparati di potere del XX secolo, ci spiega, quando devono dominare le irregolarità, scelgono la strada della “moralizzazione della penalità”, che si traduce nella “penalizzazione dell’esistenza” dei gruppi irregolari, dal momento che la loro vita viene inquadrata “in una specie di penalità diffusa, quotidiana” (p. 210).

Il divieto di burkini è uno strumento, una tecnologia di potere che mira a “introdurre nel corpo sociale dei prolungamenti para-penali, al di qua dello stesso apparato giudiziario” (Ibidem). Quando non c’è pena, però, c’è correzione, integrazione forzata, separazione netta tra normale e anormale, c’è imposizione di comportamenti e abitudini, una pressione strisciante, ma onnipresente, che può tramutarsi in violenza di stato quando a rendere operative le norme è la polizia. Questo tipo di norme presentano un doppio vantaggio per gli apparati di stato: si applicano sull’individuo, ma hanno un effetto deterrente più generale, così come un effetto persuasivo, che regola le abitudini della popolazione. Nel caso del burkini è chiaro, poiché al suo uso è interdetta la singola donna, ma la sua funzione manifesta è di orientare i comportamenti di molte, rendendoli ostili a culture differenti dalla propria.

Citare Foucault non è un vezzo, serve ad ampliare lo sguardo oltre l’armamentario teorico-pratico dell’emancipazionismo. Perché del resto il prodotto dei discorsi delle donne  che sostengono il divieto di burkini [1] lo abbiamo sotto gli occhi: la foto della donna obbligata a svestirsi dalla polizia francese sulla spiaggia di Nizza. È possibile leggere quanto accaduto solo nei termini di una violenza, pornografia di stato che i social amplificano con effetti devastanti sul piano del discorso diffuso nel corpo sociale. Si tratta sempre di un gruppo di uomini, e per di più armati, che ordina a una donna, che sta riposando da sola su una spiaggia, di togliersi gli indumenti ed eseguire forzatamente la loro volontà, mentre, poco distante, la figlia scoppia a piangere e le/i presenti applaudono alle forze dell’ordine e urlano a lei “tornatene a casa”.

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Davvero si ritiene che sia questa la via per allargare i diritti? Davvero non ci si rende conto che così siamo tutte meno libere? Non sarà, invece, che gli apparati di potere funzionano solo grazie a una continuazione mistificata della guerra civile, mentre il razzismo continua a fungere da discorso giustificante l’esercizio del potere di interdizione-esclusione-assimilazione attraverso una gestione necropolitica delle popolazioni, perché non c’è in ballo solo il divieto di burkini, ma anche il Mediterraneo come mare di vita e non di morte.

Non è che l’occidente sia poi questo campione in libertà delle donne che ci raccontiamo, visto che molte hanno lottato tanto, ma molto è stato travisato, assimilato, molto è ancora da conquistare. Appoggiare uno “Stato” europeo che si spinge a legiferare su come debba vestirsi una donna ergendosi a paladino di libertà che non ha mai davvero garantito, sembra non solo eccessivo, ma anche fuorviante.

I toni del dibattito rimandano piuttosto al razzismo e non al femminismo, posto che abbia ancora senso usare un vocabolo così monolitico per indicare un panorama tanto vasto e frammentato, spesso in totale disaccordo ed in contrapposizione da quando, in troppe, hanno smesso di lottare per un mondo più accogliente per tutte e hanno abbracciato le logiche disciplinari di Stato, trasformando il femminismo in un’ancella del capitalismo   e del biopotere. Ad essere oneste, non è facile spogliarsi neppure da noi, in Italia è un azzardo anche il topless ed il postporno, quand’anche sia conosciuto, non manca di destare scandalo e di suscitare reazioni di ostruzionismo, se non di vera e propria censura .

Tuttavia il punto non è solo quanto e quando siamo libere di spogliarci. In Bisogna difendere la società Foucault afferma che ai tempi della biopolitica il potere di morte si esercita tramite il discorso sulle razze. Lo strumento attraverso cui si veicolano pericolose politiche neocolonialiste è oggi il nostro corpo, e non è la prima volta, il nostrano pacchetto sicurezza, o il finto decreto sul femminicidio, valga da esempio.

Tutto un altro discorso quello sulla costrizione delle donne musulmane: sono tutte davvero libere di scegliere? Probabilmente no, ma, come scrive Delphy, vietar loro di andare a scuola velate o impedire il burkini non solo sono misure con più effetti collaterali che vantaggi, ma soprattutto hanno l’obiettivo di togliere la parola alle donne e alle femministe islamiche, di rimuoverle dal dibattito pubblico, tacciandole di inadeguatezza per via del velo che indossano. Ma alla delegittimazione per via razziale se ne aggiunge un’altra, costruita  attraverso i rapporti di potere che separano le donne che occupano posizioni apicali nella gerarchia sociale da quelle che invece vengono continuamente risospinte ai margini. Non sarà allora un caso che Wassyla Tamzali, avvocata ad Algeri ed ex-direttora del centro per i diritti delle donne all’Unesco, non solo si posizioni nettamente contro le femministe islamiche, colpevoli, a suo avviso, di voler islamizzare la società, ma accusi anche di connivenza le istituzioni pubbliche che finanziano le loro ricerche, biasimandole per questo. Insomma, alcune sono legittimate a parlare, a prendere posizione, a studiare, ad avere visibilità, a dettare le regole, ad andare al mare, altre no, devono eseguire gli ordini e tacere.

In ogni caso, noi non vorremmo parlare per nessuna. Vorremmo piuttosto ascoltare, immaginare un altro genere di incontri con le altre. Prima ancora di spiegare loro diritti che spesso non hanno una reale concretezza, preferiremmo chiedere da quanto tempo sono partite, come si trovano, che desideri o problemi hanno. Confrontarci, raccontare perché ci piacciano gli short di jeans e i tatuaggi sulle gambe, perché vogliamo vivere sole e non aver figli, perché l’autonomia economica e le pari opportunità sul lavoro ci stanno tanto a cuore, con l’onestà di non inventare, né promettere, paradisi di cui non abbiamo fatto alcuna esperienza. Piuttosto, vorremmo sottolineare come alcuni diritti presunti acquisiti stiano venendo meno, smantellati dalle politiche neoliberiste e neofondamentaliste cristiane: obiezione di coscienza all’aborto e alla contraccezione, contrasto all’educazione in materia di sessualità, arretramento nonostante gli sviluppi scientifici sul piano delle libertà riproduttive. Anche sul piano della violenza maschile contro le donne le cose non vanno poi tanto meglio. In Italia, una donna su tre subisce abusi in famiglia, quella stessa famiglia tanto propagandata come isola felice, luogo imprescindibile di realizzazione, che però è il luogo per eccellenza dove si registrano violenze e femminicidi, mentre il governo italiano continua a ignorare le raccomandazioni della CEDAW, cioè la convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne che pure ha sottoscritto. Insomma, l’elenco è lungo, ci sarebbero il gender backlash, il triste primato dell’Italia in omo-transfobia, gli effetti della crisi in termini di precarietà e isolamento delle giovani, la mancanza di un welfare basato sulla singola persona….quindi, è ancora tutta una rivoluzione da portare avanti, la nostra. Liberandoci dal ruolo di ancelle del biopotere, vogliamo  farla insieme a e non contro le donne e femministe islamiche.

Lole Montale e Panta Rediviva

 

 

[1] Ebbene sì,  il giro di parole è voluto perché fatichiamo a chiamarle femministe

5 Risposte

  1. dopo aver citato lo stato oppressore dei deboli di Foucault, fare riferimento alla sentenza del Consiglio di Stato è perfetto. La sentenza ha abrogato un decreto dei sindaci che non sono lo stato ma rappresentanti diretti dei cittadini: la sentenza infatti colpisce i più deboli, le donne musulmane obbligate a fare il bagno vestite. Provate a farlo voi. Foucault si sarebbe fatto una bella risata.

  2. Va bene Dilva, adesso che ti sei sfogata con una sequela di insensatezze e livore random, spero per te che tu stia meglio. Magari, quando ti passa la collera e se riesci a riacquistare un minimo di lucidità, prendi un libro di Foucault in mano e scoprirai che il biopotere non è esattamente un termine generico. Ti consiglio vivamente, per la prossima volta, di presentarti a commentare dopo aver letto qualcosa di filosofia politica, tanto per evitare di confondere una postanarchica con una sinistronza, come hai fatto adesso.Non c’è bisogno del bollino da intellettuali per leggere e studiare, lo può fare chiunque e la rete dà accesso gratuito e libero ad una infinità di materiali copyleft grazie al lavoro militante di chi, come noi, studia, traduce e scrive gratuitamente per tutte/i, senza alcun tornaconto, né economico, né in termini di visibilità.
    E con questo chiudo, perché non amo dar seguito a sterili flame, né qui né altrove, con gente che non ha la benché minima idea di cosa si stia parlando e purtuttavia non vuol rinunciare a dire la sua, senza congnizione di causa, ma con una buona dose di veleno.
    Buono studio.
    Panta Rediviva.

  3. Care “incroci”, io non ho frainteso politicamente proprio nulla e non ho omesso di leggere proprio niente perché vedete, se ci si schiera per il nascondere il corpo delle donne, di fatto ci si schiera contro la libertà delle donne perché nessuno, dopo una vita di lotte, mi toglierà mai dalla testa che ” Le donne occidentali che indossano veli contribuiscono alla sottomissione delle donne di altre parti del mondo in cui il velo è un obbligo. “.
    Già, biopotere e autodeterminazione… sì certo, l’autodeterminazione di essere schiave, conosciamo.
    Il vostro decretare “scialbo” il concetto di laicità, il vostro arrogarvi l’unicità di essere atee e anticlericali pur dimostrandovi, nonostante lo neghiate, strenue paladine di comportamenti religiosi fondamentalisti e maschilisti -, il vostro presunto sarcasmo verso noi semplici donne non intellettuali, non puttane, non madonne, solo donne, beh, certo, sì, tutto come sempre, tutto a dimostrazione della vostra presunta altitudine, tutto a conferma che i fascismi è anche grazie a voi della “vera” sinistra non istituzionale, indipendente e autogestita, che avanzano.
    Voi siete avvezze solo al vostro ritenervi gran intellettuali, intellettuali della sinistra “vera” e “non istituzionale” che in realtà incentiva proprio frange di destra ostinandosi a non voler vedere quanto il loro scrivere di un generico “biopotere” e di una non meglio definita “autodeterminazione” ma contro ogni “divieto”, inibiscono le lotte per la libertà delle donne, gran intellettuali che tacciano come islamofobi e razzisti anche coloro che lottano davvero per l’emancipazione e la liberazione di tutte le donne.
    Emancipazione e liberazione sempre più lontane anche grazie a voi.
    Auguri

    P.S.: sì, in effetti, incroci molto degeneri

  4. Cara Dilva, pare che tu abbia frainteso praticamente tutto il nostro intervento e abbia omesso di leggere la conclusione. Noi non abbiamo scritto in difesa di veli, né di religioni, ma di biopotere e autodeterminazione. Noi non cominceremo mai a combattere per la laicità, perché ci sembra un concetto troppo scialbo e blando, visto dalla nostra più radicale posizione di atee e anticlericali, non avvezze a percorrere le vie istituzionali per affermare la nostra parola (e infatti questo non è un blog istituzionale, ma indipendente e autogestito).
    Anyway, ti lasciamo un aggiornamento dell’ultima ora: Il Consiglio di Stato francese ha sospeso il divieto di indossare il burkini dopo istanza della Lega per la difesa dei Diritti Umani che ha espressamente definito quel divieto una violazione delle libertà civili. Il Consiglio di Stato ha definito l’ordinanza in questione una grave e chiaramente illegale violazione delle libertà fondamentali, quali la libertà di movimento, di coscienza e personale, contestando e respingendo il richiamo alla laicità per interdire l’accesso ad una spiaggia.
    http://www.lemonde.fr/societe/article/2016/08/26/le-conseil-d-etat-suspend-l-arrete-anti-burkini-de-villeneuve-loubet_4988472_3224.html
    Buone cose.

  5. Perché tutti e tutte coloro che scrivono in difesa di veli e divieti, non accennano mai al fatto che si tratta sempre e solo di fondamentalismo – molte sono le donne musulmane che non si velano – religioso/politico e che non sono mai gli uomini ad essere condizionati o costretti a velarsi ?
    Perché non riportate i motivi per cui le religioni monoteiste e fondamentaliste, tutte hanno in comune sempre e solo il maschilismo, soprattutto islamiche chiedono e obbligano solo le donne a nascondersi al mondo per svelarsi solo davanti al loro dio astratto, al loro dio padre, al loro dio fratello, al loro dio marito ?
    Verissimo che la violenza sulle donne inizi dallo Stato, lo scrissi io su un cartello anni fa, ma come sia possibile anche solo pensare che hijab, niqab, burqa e altro anche di peggio, non siano violenza contro le donne, tra l’altro tacciando di fascio-razzismo chi lo dichiara, è davvero incomprensibile.
    Quando comincerete anche voi a combattere per la laicità, unica prassi di vita pubblica e istituzionale che permetta davvero la pratica della parità, anche di genere ?
    Io rivendico il diritto di vivere in uno Stato laico che “riconosce l’eguaglianza di tutte le confessioni religiose, senza concedere particolari privilegi o riconoscimento ad alcuna di esse”.
    La religione è e deve essere un fatto esclusivamente privato.

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