Padre padrone padreterno di Joyce Lussu

PadrePadronePadreternoDire che dovremmo solidarizzare perché abbiamo una vagina è   un’insensatezza, perché prescinde da ogni collocazione storica e politica.

Che la piccola e media editoria debba sopravvivere ai colossi  è litania che vado spesso recitando, unitamente all’invito ad acquistarne i libri, anche perché spesso forieri di idee altre rispetto al pensiero dominante. Onore al merito, dunque, della Gwynplaine edizioni che nel 2009, a due anni dalla sua nascita, ha avuto il coraggio di ripubblicare Padre padrone padreterno, breve storia di schiave e matrone, villane e castellane, streghe e mercantesse, proletarie e padrone, di Joyce Lussu, uscito nel 1976 presso l’editore Mazzotta.

Il nome dell’autrice, scomparsa nel 1998, probabilmente non dirà molto ai più. Eppure Joyce Lussu ha contribuito in prima linea a scrivere una pagina fondamentale della storia italiana: partigiana combattente, anche mentre era incinta, fu promossa capitano e insignita di medaglia d’argento al valore militare, una medaglia di cui pretese l’assegnazione con pubblica ceremonia, con tanto di plotone d’onore, present arm, banda militare, presenza del generale comandante e delle autorità civili, di fronte ai quali sfilò vestita di rosso, trionfante anche su quelle stesse autorità militari che avrebbero voluto recapitarle la medaglia a casa in forma privata, senza  cerimonia alcuna.
Dunque la Lussu, a partire da sé e dalla sua esperienza, si chiede come sia stato possibile che, dopo la Resistenza, rigurgiti fascisti abbiamo continuato ad affascinare la borghesia, con il puntellamento della chiesa cattolica, mentre la sinistra si affanava a conciliare la bandiera rossa con l’olio santo, realizzando tale conciliazione in primo luogo sulla pelle delle donne, allontanate dalla politica nonostante il loro contributo alla Storia, nel tentativo di rassicurare l’ala cattolica circa possibili disgregazioni dell’istituto familiare.
Il primo ventennio dopo la Liberazione non è  favorevole ai giovani e alle donne, ma nelle sinistre le direzioni dei partiti e dei sindacati viene delegata ai padri della patria e i giovani vengono trattati con paternalistica accondiscendenza e non viene concessa loro nessuna autonomia. […] Dio, Patria e Famiglia è ancora il motto della Repubblica che dovrebbe essere fondata sul lavoro e sull’antifascismo e i dirigenti socialcomunisti si affannano a dimostrare, senza peraltro convincere affatto i loro avversari, che non sono dei senza-Dio, senza-Patria e senza-Famiglia. Le critiche della  Nostra non si fermano ai dirigenti socialcomunisti che, invece di costruire insieme  alle donne nuovi strumenti e nuovi spazi del fare politica, le hanno di nuovo allontane dalla vita pubblica, nel timore che venisse a mancare il piatto caldo di maccheroni sul tavolo e le mutande fresche di bucato nel cassetto. La Lussu  lamenta, infatti, anche le mancanze di certo femminismo, biasimando  la sua incapacità, o non volontà,  di collegare la lotta di classe alla questione femminile e  sottolineando che le donne non sono tutte uguali, ma che, sin dall’antica Roma, è esistita una differenza di classe.
Da tale constatazione muove una breve rassegna storica mirante a rimarcare l’abisso che da sempre ha separato, e continua a separare, le donne che occupano i gradini più alti della scala sociale e quelle che stanno in basso. Così, come le matrone non avevano alcuna solidarietà per le schiave, ma anzi erano fervide sostenitrici della schiavitù, perché questa consentiva loro di mantenere i propri privilegi, analogamente, in tempi più recenti, con l’avvento dell’industrializzazione,  le associazioni femminili si sono impossessate del movimento femminista per distoglierlo dalla lotta proletaria, dando in questo modo un valido aiuto alla stabilizzazione dell’assetto capitalistico. Come  sosteneva la sociologa Gladys Meyerand a proposito della lega americana dei sindacati femminili le donne delle classi superiori entrano nei sindacati per dirigerli ai loro fini, che sono puramente educazionali e filantropici; assicurano alcuni benefici alle operaie per impedire qualsiasi mutamento essenziale del loro status.
Nella scissione tra lotte delle donne e lotta di classe, nella dismissione di una prospettiva storica e politica del movimento, la Lussu coglie la dannosità del femminismo borghese per le donne stesse, per lo meno per le operaie e per quelle categorie di donne che prima si chiamavano schiave, villane, streghe. E adesso?
Fenomeni di massa come il comitato Se non ora quando o le politiche del lavoro di una ministra Fornero sono evidenti conferme dell’analisi di Joyce Lussu: dietro un’attività vagamente educazionale e filantropica nel primo caso,  o la retorica del lacrime e sangue nel secondo, si nasconde il comune intento  a  tutelare uno status quo che non viene sostanzialmente modificato, ma semmai aggiustato alla gattopardesca maniera per ribadire le divisioni di classe.
E allora, giova ancora oggi ripetere che avere una vagina non è elemento di per sé sufficiente alla sorellanza, ma solo il femminismo che si inserisce nella lotta di classe e prende posizione, non genericamente contro tutti gli uomini in nome di tutte le donne, ma storicamente contro una parte di uomini e di donne in nome di un’altra parte di donne e uomini, introduce in questa lotta un elemento potente di stimolo e di chiarimento.
Così,  la Lussu concludeva che il femminismo borghese  è un aspetto del riformismo e viene usato dal capitalismo avanzato per integrare la donna nei suoi meccanismi; operazione non difficile, soprattutto quando le femministe fanno del sesso l’epicentro di tutti i loro problemi, senza toccare quelli economico-produttivi.[…] E’ il tema di moda nei ricevimenti delle signore dell’alta borghesia, che vi trovano la teorizzazione esplicita delle autonomie di cui hanno sempre goduto di fatto e l’attualizzano con le richieste di un “lavoro”, come occuparsi di arredamento o di macrobiotica, metter su una boutique o uno spettacolo, inventare dei gerghi specialissimi il cui significato appare inafferrabile all’eventuale lettrice.                                                                                                                     

Padre padrone padreterno è senza dubbio radicato nell’epoca storica in cui venne scritto, di cui utilizza gli strumenti di analisi che, pertanto, sono tarati su una una realtà mutata a distanza di quasi quaranta anni e  divenuta più complessa. Cionostante, conserva la sua attualità, e dunque la sua validità, nell’individuare molti dei meccanismi che stanno a monte dell’involuzione politico-sociale, con conseguente svolta a destra, che viviamo oggi.
Vogliamo quindi ereditare la prospettiva fiduciosa e positiva che attraversa le ultime pagine di Padre padrone padreterno, affidate alla scrittura di “amiche-consulenti”  che così concludevano: Certamente domani saremo donne diverse, compagne e non più complici o nemiche di uomini diversi, in una società costruita insieme – o addirittura ricostruita sulle rovine – ma a misura di entrambi, con grandi spazi per gli incontri, per i giochi, per la vita comunitaria, per il lavoro creativo e materiale suddiviso e alternato secondo altri ritmi, come conquista e promozione e non più come condanna. Ovviamente, perciò, fuori e contro le strutture del profitto privato e del benessere di pochi privilegiati, tratto dalla fatica mal retribuita della maggioranza.  Aggiungiamo però, da parte nostra, l’ambizione a costruire una società in cui tutte le dicotomie vengano superate, non solo quelle relative all’opposizione serva/matrona, villana/castellana,  proletaria/padrona, ma anche quella  uomo/donna alla quale la Lussu dimostra di essere ancora saldamente attaccata.

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